Il design è l’altra faccia della storia

Valore

Un esile soffio di pensiero creativo per fortuna in Italia continua a spirare, anche in questo periodo di crisi. Elevarsi dalla palude nella quale stiamo sprofondando è arduo, però c’è ancora la voglia di riflettere sulla prospettiva di questo paese. Uno dei temi fondamentali dai quali ripartire è la nostra storia.

Solo una persona sensibile, uno storico in particolare, è capace di apprezzare quello che non si vede dall’esterno, che non si ferma al primo acchito, poiché il valore è incorporato all’interno. Ritorna in mente la frase del filosofo cinese Lao Tzu quando diceva che c’è la parte visibile dell’utile, ma l’essenza rimane invisibile. Come la storia.

Difatti nessuno ha mai comprato il made in Italy per le caratteristiche fisiche dei prodotti, ma soprattutto per l’idea e lo stile con cui sono concepiti i manufatti di valore. È nel disegno degli oggetti che sono incorporate la cultura e l’esperienze d’uso.

Il design coniuga estetica e funzionalità che si traducono quindi in valore economico, il quale è per definizione scarso. Non tutti possono avere gli stessi riferimenti culturali e tradurli in modelli esemplari. Per gli imprenditori italiani c’è una sfida in più: non basta produrre con qualità (perché la competizione è anche basata sul prezzo) ma occorre saper comunicare meglio ai quattro angoli del pianeta la creatività delle nostre persone.

Un po’ di dati (anche se non molto aggiornati) sono utili per inquadrare la situazione in Europa. Nel 2003 il valore aggiunto del settore cultura e creatività contribuiva per il 2,6% del PIL europeo. Per fare degli esempi comparati, il settore immobiliare si fermava al 2,1% e tutta l’industria chimica contribuiva per il 2,3%. La crescita del settore, nello stesso periodo, è stata più alta del 12,3% rispetto alla crescita economica globale europea. Questi sono numeri che dovrebbero far riflettere sulle –mancate- opportunità di crescita. Si può discutere se tutto il valore aggiunto sia misurabile. Come diceva Einstein: “non tutto ciò che conta può essere misurato, e tutto ciò che è misurabile può non contare”.

Quello che di certo ha valore è che l’Italia è riconosciuta come una grande produttrice di beni artistici e servizi culturali: le sue città sono tra le più visitate al mondo ed è un’esportatrice di qualità e stile di vita. Il valore aggiunto che si produce in questo settore è locale, non soggetto “all’offshoring”, ossia non si può delocalizzare la cultura e il turismo. Ma l’esperienza fruita dai consumatori di servizi culturali è a forte concorrenza: c’è sempre qualche Paese che s’inventa nuovi modi per attrarre visitatori. Non bastano il numero delle ore o dei lavoratori, ma contano gli strumenti a disposizione, le loro conoscenze tecniche e culturali e un sistema istituzionale che consenta di esprimere la creatività per innovare prodotti e processi. Tutto ciò costituisce il valore aggiunto, che vuol dire avere una specializzazione.

Naturalmente sono solo le persone che possono specializzarsi, molto più di macchine o processi aziendali. Si è competitivi perché si scelgono –prima- le migliori persone e poi favorendo l’emersione della creatività con la loro totale partecipazione. Se queste devono solo ascoltare o eseguire, non producono idee creative, anzi tendono a ostacolarle. Sono le persone che producono un’idea o una tecnologia. Ora dobbiamo migliorare la gestione e perché no, sapere anche venderla meglio.

La creatività è qualcosa di endogeno nelle persone, mentre l’innovazione è qualcosa che ha a che fare con il modo che le circonda: relazioni sociali, economiche e culturali.

La storia ce l’abbiamo dentro; dobbiamo farla uscire con le forme del design.