Chi crea i posti di lavoro?

Chi crea i posti di lavoro? Gli imprenditori o i consumatori?
Prima di accapigliarvi con le ideologie la risposta è: entrambi.
Solo che i veri imprenditori ci pensano prima, e i consumatori dopo. 
In mezzo ci sono i lavoratori sui quali incombe, in questi tempi, la chiusura degli stabilimenti. È compito dell’imprenditore creare –prima- il contesto adatto a far emergere la produttività, poi scegliere le persone adatte per moltiplicarla. Solo con i robot non c'è innovazione, da qui la crisi che stiamo sperimentando.

In Italia avevamo un Avvocato che si allineava alla politica (soldi in cambio di posti di lavoro) e oggi abbiamo un nuovo capitano che si allinea alla finanza, dimenticandosi di essere un industriale.
Tutti gli riconoscono che la Fabbrica Italiana è quasi fallita prima del suo ingresso; ora l’ha resa internazionale, e nessuno può avere voce in capitolo su “dove” un’azienda multinazionale intenda investire. Ma non dobbiamo pensare che i capitani d’impresa siano sempre dalla parte della ragione.

Il distacco dagli operai è nelle sue corde, lo dimostra la corsa al ribasso dei salari, e dei diritti. Le cose andavano male, ma lui aveva la soluzione immediata: lavorare di più. Purtroppo ci siamo ritrovati al punto di partenza perché, quando si persegue questa strada in discesa, la competizione mondiale aumenta invece di diminuire. Forse la soluzione consiste nell’investire nella ricerca di nuovi modelli; molto più difficile per un finanziere, almeno rispetto alla scorciatoia precedente.

Un altro importante segnale della sua diversità è stato l’allontanamento dai suoi alleati: il sindacato degli imprenditori.
L’ultima evidenza è che "aspetta il mercato" per investire.
Allora vuol dire che non è un imprenditore, è altro. Quelli bravi sono allineati con il mercato, i grandi lo anticipano.

Basterà un competitor in qualsiasi posto nel pianeta per sfruttare quest’opportunità e surclassare lo statico incumbent nel mercato.
Il finale lo vediamo già con le autovetture allineate nel parcheggio in attesa di compratori, alla fine –non metaforica- della catena di montaggio.

Parking

Twitter: @massimochi

  • Antonio |

    Come ho già commentato altrove:
    -la Fiat è un’azienda senza imprenditore, la proprietà non ha più (già l’avvocato l’aveva ormai persa) nessuna cultura imprenditoriale e Marchionne è un “manager sterile”, forse pure bravo ma assolutamente sterile.-
    Ha fatto una pregevole operazione “tecnica” (il merge Chrysler – Fiat) ma non riesce a creare frutti industriali, semplicemente perché non ne ha il fiuto.
    Ci sono dei bravi capitani d’azienda imprenditori, spesso i fondatori. Ci sono dei bravi capitani d’azienda di “impostazione aziendalistica”, cresciuti in azienda, diventati manager. Poi ci sono i “manager a contratto”, sono bravi ma non vivono l’azienda e quindi non conoscono i lavoratori (spesso non conoscono proprio il lavoro), non conoscono i consumatori; il loro unico punto di osservazione è finanziario ma non perché amino la finanza.
    Fiat è stata molto sfortunata c’è da dire, Valletta era un Marchionne in bianco e nero per esempio (di danni ne ha fatti molti, non solo in Fiat, dobbiamo a lui la distruzione di Olivetti, grazie alla sua famosa frase “l’elettronica è un cancro da estirpare”; Romiti era completamente ortogonale ad un capitano d’azienda non avendo mai capito cosa la Fiat fosse (e infatti tentò di distruggerla attraverso la diversificazione); forse l’unico vero “CEO” è stato Ghidella, tutto sommato un manager modesto ma che si stacca come un gigante rispetto alla mediocrità di chi lo ha preceduto e seguito, curiosamente un aziendalista passato per la “gavetta”.

  Post Precedente
Post Successivo