Quando manca il lavoro, si alza
il vento delle parole, quelle che saltano direttamente alla conclusione: garantiamo un reddito per tutti. Gli
effetti di tali strumenti sono troppo costosi per la collettività e disincentivanti
nella ricerca del lavoro. Esempio: se assicuriamo un reddito di 500 euro a
tutti, molte persone non cercheranno lavoro neanche per uno stipendio di 600
euro.
Partiamo dall’inizio, e prima
di preoccuparci del reddito riflettiamo su ciò che accade al mondo
del lavoro, dove dedichiamo il nostro tempo ricompensato con il denaro.
Nel mondo che conosciamo
meglio, quello materiale, è un tempo di attività manuali salariate, dove è
richiesta la forza (es. edilizia) o il contatto fisico (es. cura della
persona). In passato la ricompensa era data dalla quantità di lavoro che una
persona riusciva a svolgere, pensiamo ad esempio ai cacciatori-raccoglitori.
Poi dal ‘800 in avanti la proprietà e il controllo dei mezzi (dalla terra, alle
fabbriche, alle banche) hanno divaricato la ricompensa favorendo il capitale e
svalutando il lavoro. Quest’ultimo ancora misurato con la produttività oraria o
per prodotto, come fossimo robot.
Nel mondo digitale, quello
immateriale, le risorse manuali sono escluse dal conto della disponibilità
umana. Non ci resta che prestare il nostro cervello o, ancor peggio, solo il
tempo per attività ripetitive, laddove lo stato dell’arte dell’automazione
ancora non raggiunge l’efficienza degli umani. Risparmiamo lavoro, ogni giorno
che passa, con i progressi degli algoritmi e con i nuovi processi produttivi.
Emergono quindi tre effetti:
-
l’obsolescenza delle competenze arriva più in fretta
-
la competitività non è più locale ma globale
-
se non ci inventiamo nuovi lavori "creativi" il numero totale degli
occupati si ridurrà (per via della crescente automazione).
Il percorso darwiniano continua:
prima cedevamo il lavoro a persone che costavano meno, per mezzo
dell’offshoring. Ora lo diamo a chi è più adatto, alle macchine. Sono loro i
nuovi “competitors”, più numerosi, più piccoli e con un costo sempre inferiore
rispetto al lavoro di un uomo, anche nelle zone più povere della Terra. Eppure
ci sembra ancora di poter fare tutto, con tanti strumenti nelle nostre mani e ricchi
di idee, ma pochissimi sono abili a realizzarle, a tradurle in lavori, anche
individuali, adatti a sostenersi economicamente.
La tecnologia ci dona enormi
facoltà di percezione, elaborazione e comunicazione del pensiero, ma ci sottrae
potere. Ciò si sostanzia nell'occupazione, quando vediamo che per
costruire un iPhone5 occorrono 8 dollari di manodopera (voce Manufacturing Cost
nella tabella), una frazione rispetto ai costi del materiale e soprattutto ai
profitti.
L’avanzamento tecnologico è
allora una leva che separa il lavoro dal capitale. Quest’ultimo ha la naturale
tendenza ad accumularsi e ad andare verso l’alto della piramide sociale. Il
problema -non- è arrestare questa ascesa ma controbilanciarla con: tasse progressive, strumenti di welfare, antitrust,
attività sindacale e class action. Il fallimento nell’applicare tali strumenti
ha squilibrato la società, tra i capitali che si aggregano e il lavoro che si
frantuma, almeno per quello che abbiamo visto dagli anni ’80 a oggi. Se non ci
impegniamo a far funzionare il mercato del lavoro, a far ripartire la mobilità
sociale, rischiamo di non aver sufficiente reddito da spendere, ciò significa
che senza occupazione mettiamo a rischio lo Stato e la democrazia.
C’è però da essere ottimisti,
questa non è una crisi, è un cambio strutturale del sistema economico. La
tecnologia plasma le azioni umane; quando irrompe sulla scena è talvolta distruttiva,
poi nel tempo la storia ha insegnato che sappiamo coglierne il meglio. Ciò che
dobbiamo fare è ricomporre gli estremi tra chi vuol separare ancor di più la
frattura tra le classi sociali e chi vuol introdurre sistemi troppo egualitari, come il reddito di cittadinanza universale che è molto differente dal reddito minimo.
E
se proprio ci tocca arrivare all’introduzione del reddito per tutti, vuol dire
che toglieremo l’ultimo incentivo in nostro possesso: la speranza di poter mettere
a frutto intelligenza e creatività per migliorarci. Nel momento in cui perderemo
tale ideale, allora saremo più poveri e le macchine ci avranno davvero superato. Il sorpasso, se avverrà, non sarà a causa dell'innovazione tecnologica, ma della nostra retrocessione.
Twitter: massimochi