Nell’era pre-Internet le aziende avevano bisogno di un forte coordinamento interno perché cercare, richiedere e trovare un servizio sul mercato era difficile e costoso. Gli esempi sono l’ufficio viaggi, stipendi, etc. Tutti prima erano sempre all’interno. Da qui il compito affidato alle strutture manageriali per gestire l’azienda utilizzando la leva gerarchica, al fine di farla crescere (se operavano meglio dei concorrenti).
Ora lo scambio informativo all’interno avviene a tutti i livelli e, all’aumentare delle dimensioni aziendali, si sviluppa purtroppo anche il sovraccarico delle informazioni e molte energie vengono consumate solo per trovare il coordinamento tra tutte le varie funzioni che devono parlare con l’esterno. In una prospettiva gerarchica, era una comunicazione verticale, dall’alto in basso, è una trasmissione da uno a molti. In una prospettiva di mercato, è orizzontale, tra le persone.
Più informazioni che si scambiano è un buon segno, solo che ci sono delle conseguenze. Una di queste è che se costa meno affidare dei servizi all’esterno allora bisogna ridurre il numero degli occupati all’interno. Facciamo un esempio con il lavoro, se con il digitale si è più produttivi di un x% vorrà dire due cose:
– si può produrre x% in più (se si è capaci a vendere di più)
– oppure produrre la quantità corrente con –y% dei lavoratori.
L’altra è che bisogna cambiare il modo in cui il management gestisce l’azienda, dato che il mondo si è capovolto (più facile operare con il mercato che modificare un processo aziendale).
Per queste ragioni le aziende muoiono (o non ne nascono a sufficienza). Perché le aziende non sono più longeve come un tempo? La longevità è una conseguenze delle scelte su cosa si è eliminato, cambiato, e creato ex-novo. Tutte al momento giusto.
Sono tante le forze che remano contro: l’infrastruttura è basata su Internet, quindi miliardi di concorrenti a costo più basso; e lo strumento è lo smartphone o il pc, alla portata di tutti. È l’efficienza sempre ricercata dall’economia capitalistica. Molte attività diventano allora economicamente conveniente spezzettarle in micro-lavori.
Per coloro che sono privi di competenze la tipologia di lavoro si suddividerà tra autonomo e dipendente: i primi potranno aspirare a un buon lavoro se hanno conoscenze di business e comunicazione (per rispondere e contrattare un’offerta di lavoro); i secondi cadranno nelle reti dei brokers, che aggregheranno e divideranno le micro-attività per il più classico degli import-export. Così avremo scenari da incubo per i lavoratori divenuti solo “contractors” all’interno di conglomerati poco dinamici.
Anche se non per tutti, c’è una via di riscatto, ossia creare un’impresa e farla crescere:
– espandendo la sua base clienti
– aumentando la produttività
– innovando.
Per compensare l’involuzione demografica delle imprese non abbiamo altra scelta che inventare nuovi lavori, per esempio innovando, creando startup e scalare per farle diventare grandi. Tutto ciò crea al contempo sostituzione di vecchi business e realizzazione di nuove idee.
Cos’è la disintermediazione? Quando i soggetti sono autonomi nel comporre una transazione autonomamente, poiché l’informazione non è distribuita in forma troppo asimmetrica tra le parti.
Quando si re-intermedia? Quando c’è troppa informazione e c’è bisogno di una sintesi.
“Dopo la prima ondata di innovazione, che sostituisce semplicemente i servizi esistenti, arriva un’altra ondata che inizia a costruire le applicazioni che erano impossibili con la rete centralizzata precedente. La seconda ondata non si limita a creare applicazioni che mettono a confronto i servizi esistenti; genera nuove industrie sulla base delle domande che prima erano troppo costose o troppo difficili da scalare”. A. Antonopoulos, tradotto qui.
Il mondo là fuori è pieno di nuove opportunità per chi vuol disintermediare il vecchio modello e per chi mira a re-intermediare il nuovo. Disintermedia o re-intermedia per farti trovare.
Twitter: @massimochi