Il nostro rapporto con la Cina è un caso particolare. La dipingiamo come il nuovo impero del male, e per l’assenza delle libertà democratiche certamente lo è. Il capitalismo ha sconfitto tutti i regimi comunisti, tranne quello cinese, con il quale coesiste e cresce benissimo purtroppo senza essere accompagnato dalla democrazia. L'esempio più evidente è il trattamento riservato al recente premio Nobel per la Pace.
Ma al suo interno c'è la libertà economica, anche quella che va oltre i diritti universali dei lavoratori. E su questo cogliamo l’occasione per creare un mercato che si alimenta da questa drammatica situazione; e commerciamo, come sempre.
Il racconto mediatico dell’immenso potere geo-politico, economico e demografico dipinge la Cina come la causa che determina tutti i nostri problemi. Infatti l’influente rivista americana Forbes indica il presidente cinese Hu Jintao in prima posizione nella classica delle persone più importanti nel mondo. L’Economist aggiunge che il volume delle esportazioni cinesi e stima che nei forzieri della banca centrale di Pechino le riserve in valute estera ammontino a 2650 miliardi di dollari.
E diventa sempre più temibile anche perché osa sfidare il nucleo della supremazia occidentale: l’innovazione tecnologica. Con l’ultimo supercomputer, Thianhe-1A, l’industria cinese intende dominare anche questa nevralgica area di sviluppo. In realtà i nostri problemi sono invece molto più endogeni, ossia riferibili all'incapacità di immaginare e perseguire un nuovo modello di sviluppo in questa economia digitale.
Nel frattempo c’è l’altra faccia della medaglia che non è adeguatamente messa in rilievo: le indispensabili importazioni dalla Cina. Secondo il rapporto ISTAT sul commercio estero extra UE, nel periodo gennaio-settembre 2010 il saldo per l’Italia è negativo per 15.249 milioni di dollari, e la Cina aumenta il suo peso del 36 per cento rispetto al 2009.
Dobbiamo osservare però che senza i prodotti cinesi saremmo non solo più poveri, ma aumenterebbe anche la disuguaglianza.
● Perché poveri?
Perché senza le importazioni di manufatti, molti degli oggetti che compriamo costerebbero di più; peggiora il nostro potere d’acquisto e saremmo quindi più poveri.
E c’è da ammettere che, dato il nostro welfare e l'alta tassazione, non siamo più competitivi nel costruire telefonini, meccaniche e tessuti a costi adeguati per i redditi medi degli italiani. Per la semplice ragione che il costo di produzione è troppo alto, e per abbassarlo occorre una grande economia di scala, avere la capacità di arrivare su nuovi mercati ed essere competitivi tra i molti concorrenti. È un’impresa difficile, specialmente per questo tipo di produzioni.
Non è più una questione d’imitazione, ora che i tempi cambiano con grande velocità per non restare indietro serve l’innovazione.
Restano per fortuna in Italia altre storie di successo: l’arte, la moda, lo stile, gli oggetti del lusso che continuano a essere un vanto per il made in Italy.
● Perché disuguali?
Qui c’è una diretta conseguenza della risposta precedente.
Osserviamo da qualche tempo una polarizzazione dei redditi. Sia all’interno dei paesi emergenti sia in quelli avanzati.
Anche nel nostro piccolo, per rispondere in modo esauriente alla domanda, ipotizziamo una forte riduzione degli scambi commerciali con la Cina al fine di stimarne le conseguenze.
Emergerà ancor di più il problema della disuguaglianza in Italia, che è già enorme con il 10% delle famiglie che possiede quasi la metà della ricchezza prodotta.
Con un verosimile rialzo del prezzo dei beni, moltissime famiglie (e imprese) andranno in forte difficoltà. Alle più povere sarà precluso per esempio l’acquisto di calzature e apparecchi elettronici di largo consumo. Crescerà pertanto il divario tra chi può continuare a permettersi i beni più costosi e chi invece deve rinunciarci, poiché non trova alternative a prezzi più bassi.
Se, per motivi economici, siamo diventati sfruttatori delle mancate libertà degli altri, allora una futura sconfitta per noi occidentali sarà moralmente giustificata.
Tutto ciò potrebbe accadere non solo ai più poveri ma anche alle classi medie. Proprio quelle che finora hanno garantito la tenuta dei sistemi democratici occidentali. Speriamo di non metterle alla prova.