Se un diamante è per sempre, un bene digitale è dappertutto

Il progresso tecnologico è coevo alla storia dell’uomo, però le invenzioni del Novecento hanno definitivamente sancito una divisione tra gli scienziati: ci sono quelli che studiano le cose infinitamente piccole che hanno bisogno di strumenti per osservarle; e poi ci sono quelli che le osservano a occhio nudo.

Della prima specie fanno parte gli scienziati che cercano di catturare e sfruttare fenomeni fisici e naturali. Gli altri sono gli scienziati sociali, quelli che studiano l’economia, la psicologia, la politica. Anche loro, oltre agli informatici, oggi lavorano con i bit: un’informazione concreta ma invisibile che sta ricoprendo la realtà intorno a noi. Un bene fisico possiede sempre una localizzazione, delle coordinate con le quali inquadrarlo. Un bene digitale ne è privo, anche se le conseguenze di questa “mancanza” lo possono rendere il più ricco tra tutti i beni esistenti.

Possiamo affermare che un bene digitale è anche un servizio in rete, lo è perfino un tweet. 

Osserviamo adesso la forma economica di tutto questo. Quella che conosciamo meglio e da lungo tempo è quella materialistica; è tutto ciò che possiamo toccare fisicamente. Pertanto il nostro modo di pensare e di agire si basa su un’antica concezione: un modello che prevede lo scambio come qualcosa comunque da perdere, da dare in cambio di qualcos’altro. Difatti, tutta l’economia industriale si basa sulla produzione di beni fisici.

La più grande differenza tra un bene digitale e uno fisico è che quest’ultimo è definito un “bene rivale”. In economia ci sono i beni rivali e non rivali. I rivali sono quelli per cui lo scambio provoca la privazione da una parte a beneficio dell’altra, ad esempio gli oggetti.* Tra i beni non rivali ci sono le informazioni, le idee: trasmettendole si duplicano, cioè esistono sia nella testa del mittente sia nel destinatario. Proprio come per le informazioni immesse liberamente in rete. Poi c’è un’altra differenza: non avendo in pratica un costo marginale di riproduzione, il prezzo di un bene digitale può essere immediatamente cambiato. Quindi è adattabile alle più diverse condizioni nel tempo.  

Morale: prima dell’avvento del digitale –che ha separato il contenuto dal contenitore- l’informazione (che era contenuta nel libro o nel film per esempio) era un bene rivale ed escludibile di cui, a parte i problemi legali, non si potevano fisicamente fare che un numero molto limitato di copie. Ora invece il contenuto è diventato un bene non escludibile, come se fosse un bene pubblico. 

L’informazione in rete si riproduce, si espande e si adatta creando un vortice che può coinvolgere tutti, e molti vogliono contribuire ad alimentarlo. Una persona o un’impresa produce l’informazione e essa si diffonde per un godimento collettivo; poi altri, con la loro energia, possono rilanciarla in rete.

È un vento immateriale, quindi senza forma, una raffica piena di schegge d’informazioni che entra dappertutto, ci trafigge, rimane in noi, ma al contempo lascia fuoriuscire la stessa quantità. Se il consumo d’informazioni non limita quello degli altri, il paradigma economico cambia trasformando i beni intangibili nelle vere ricchezze, tanto dense d’informazioni da avere un immenso valore d’uso.  

Anche un’unità minima, come un tweet, è quindi un bene senza prezzo ed è talvolta inestimabile. Siamo dentro l’ambito di gratuità reciproca, quello che la filosofa statunitense Martha Nussbaum sintetizza nella frase: “la relazione è il bene”. Altro che diamanti chiusi in una cassaforte.

Twitter:@massimochi

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* La situazione si complica con i beni rivali ma non escludibili, il classico esempio sono i pesci in un lago: il consumo di un soggetto porta detrimento all’altro ma non c’è una forza di mercato che possa impedire il sovra-consumo o il divieto di escludere dal consumo l’altro. È l’esempio dei beni comuni. Poi ci sono i beni non rivali ma escludibili, per esempio i circoli di tennis, etc. il filtro è fatto da chi paga, quindi si ricorre al mercato, ma la presenza di un soggetto non inficia il godimento del secondo. Però se un bene non è né rivale né escludibile questo è un puro bene pubblico, l’esempio classico è il faro o il servizio di difesa nazionale. Qui proprio il mercato fallisce, non può funzionare.