Conta più il business o le persone?

Il novecento era un secolo verticale, quello delle imprese a silos che possedevano quasi tutta la filiera produttiva.  Il ventunesimo secolo invece è non solo più orizzontale, bensì multidirezionale, dove tutti realizzano una singola parte che si integra con quella degli altri.

Questa partecipazione collettiva richiede una più alta densità di comunicazione tra persone diverse per cultura, costumi e etica di business; l’altra faccia della medaglia è il confronto, e le conseguenze le vediamo sotto forma di competitività sempre più estrema. Non solo tra paesi ma tra gruppi d’imprese e finanche singoli individui.

Ogni attività che adesso è digitalizzabile è anche remotizzabile, chi ne usufruisce ora ha la possibilità di farla:

– in mobilità –> dappertutto,

– sempre –> 24h,

– per il singolo interesse –> coda lunga, nicchia.

Per soddisfare tale domanda Internet ci consente di avere un sistema-mercato che scala secondo due dinamiche:

– Orizzontale, quando ad aumentare è il numero delle imprese e nessuna diventa tanto grande da dominare le altre. È il caso in cui la produttività è equiparabile e soprattutto vige il rispetto delle regole.

– Verticale, in pratica quella delle poche grandissime aziende che, forti di un vantaggio competitivo, s’impongono sulle altre tanto da ostacolarne l'ngresso nel mercato.

In quest’ultimo caso si osserveranno fenomeni di speculazione capitalistica. Se invece applicheremo le regole antimonopolistiche avremo un periodo con un paradigma orizzontale. Sono sconvolgimenti socio-economici che faranno fare all’umanità un balzo incredibile, ma che probabilmente lascerà indietro paesi e milioni di persone.

L’esemplificazione di questo conflitto si può ricondurre alla più classica delle domande.

Conta più il business o le persone?

La risposta più comune è: tutte e due. Solo che se il business è un fine, allora le persone sono trattate da strumenti. A dire il vero qualcuno vorrebbe dire che il fine è il profitto, ma questo è l’obiettivo della finanza, non dell’impresa. Potrà sembrare un rigurgito anticapitalistico ma non lo è: il fine dell’impresa è creare beni utili alle persone (B2C) o alle altre imprese (B2B), distribuendo anche il reddito, se possibile.

Ma oramai il mondo ha confuso finanza e impresa, e oggi siamo alle prese con la finanza di carta e la virtualità dei valori. Tutti siamo investitori del nostro tempo – ma non vogliamo solo monetizzarlo al meglio. Oltre gli immediati termini economici (stipendi) ci sono anche quelli di lungo periodo (conoscenze, esperienze con cose, eventi e persone). Ci tocca allora tradurre, o meglio reificare, questi mondi fittizi nella più vera realtà.

Quindi le persone devono prima di tutto vedere l’obiettivo, aver fiducia di chi li guida, e soprattutto credere di arrivarci, per questo conta la motivazione (che è l’opposto rispetto all’essere trattati come strumenti). Conta molto la loro motivazione per dedicare il tempo limitato di vita per far qualcosa in cui credere. E se non credono non renderanno mai “lo strumento” il migliore possibile. Così l’obiettivo di business si allontanerà fino a diventare irraggiungibile, anche se con le tecnologie orizzontali tutto sembra alla portata di chiunque.

Twitter: @massimochi