Scuola: come produrre senza produttività?

C’è una difficoltà
ricorrente in economia: non è facile valutare un beneficio futuro se il
raggiungimento dell’obiettivo implica un costo attuale. 
Un esempio è la proposta governativa sull’aumento delle ore di lavoro in classe degli insegnanti che ha scatenato reazioni, tra le migliori vedi Mante e Galatea.

Fare bene l’insegnante
ha dei costi oggi per generare opportunità incalcolabili, almeno in prospettiva.
Non è possibile pensare di “ridurre i costi” con il metro della razionalità e
del ritorno economico dell’investimento. La relazione, il contatto con ogni studente
consuma tempo e attenzione non propriamente misurabili.

Il rapporto
costi-produttività è la materia di studio del professor William Baumol, un grande
economista conosciuto per il concetto della “malattia dei costi”.

In breve, nei
settori ad alta intensità di lavoro (ad esempio insegnare in classe o curare
persone) la produttività non può aumentare molto data l’attenzione richiesta nell’interazione
con la singola persona e quindi consistono in attività che non possono essere
automatizzate.

William Baumol si
concentra sulla differenza di produttività che esiste tra i settori economici
in cui la tecnologia e i metodi possono sostanzialmente portare alla crescita e altre aree dove ad aumentare sono perlopiù i costi, come nel settore dell’istruzione.

Nello specifico, un
insegnante non può aumentare nel corso degli anni la sua produttività, perché
oltre un certo numero di allievi non si può andare, in quanto si perderebbe di
efficienza. Però i costi (stipendi) crescono all’incirca quanto gli altri
settori esposti al mercato della competitività e al continuo miglioramento dell’efficienza.

C’è da
sottolineare che la proposta del governo non mira a “ridurre” i costi, ma a “spostarli”
su:

-       altri insegnanti, che
resteranno disoccupati

-       famiglie, che si accolleranno
i costi di recupero

-       società, che avrà un livello
medio generale d’istruzione più basso.

Oggi intelligenza,
professionalità e formazione sono le doti del lavoratore della conoscenza. 
Pertanto non
possiamo espellere o comunque ridurre il numero di persone che cercano di
creare cultura, che è la ricchezza che dobbiamo continuare ad accrescere per
salvare questo Paese.

Ciò non significa
che la scuola deve rimanere nel Novecento. 
Nessuno richiede
più la standardizzazione né che ci si dedichi solo alle poche eccellenze, ma
che tutta la classe cresca. 
La scuola deve
invece riformarsi per rispondere ad alcune questioni, tipo: dove abbiamo
sbagliato per trovarci in queste condizioni? Perchè non sfruttiamo modelli come Oilproject? Perché alcune imprese si lamentano
che non abbiamo competenze allineate al mercato del lavoro? 
Sarà vero, ma poi
i migliori emigrano per trovare occupazione. 

Non perdiamo tempo
scegliendo la scorciatoia del “quanto”, preoccupiamoci invece di “come” insegnare
bene.


Twitter: @massimochi


  • Massimo |

    Grazie De Nitto per i suoi approfondimenti.

  • Cosimo De Nitto |

    Il problema fondamentale della nostra scuola è la filosofia che sottende tutte le decisioni governative che pesano su di essa. Questa filosofia ha radici nel senso comune che, non per colpa sua, è portato a “misurare”, dove dovrebbe “valutare”, a giudicare dove, invece, dovrebbe sforzarsi per capire. Il “misurare” necessariamente porta ad usare parametri “quantitativi”, “aritmetici” che usano scale numerali per le quali ha senso solo il più, il meno ecc. A questo senso comune non sfuggono nemmeno tanti insegnanti nella prassi quotidiana ogni volta che usano espressioni del tipo: hai studiato poco, devi studiare di più, hai reso meno del tuo amico, e con questi parametri esauriscono spesso i consigli alle famiglie. Vostro figlio deve leggere di più, deve giocare di meno ecc. L’approccio qualitativo, che è l’unico utile nel campo dell’apprendimento, viene ignorato. Sostituire il “più” col “come”, attenzione al processo meno alla performance, considerare l’errore una risorsa non un’onta, valutare la qualità degli apprendimenti, non la loro quantità. La mente umana non è una tabula rasa (comportamentismo) e la conoscenza non si sviluppa per accumulo. L’individuo percepisce il mondo a seconda di come le sue strutture mentali interne selezionano il materiale percepito e queste strutture sono in continua evoluzione e cambiamento, in funzione di nuovi accomodamenti ed apprendimenti di cui il soggetto fa esperienza (Bruner).
    L’approccio quantitativo,(più ore, più tempo scuola dei docenti e degli alunni ecc) non risolve il problema della qualità dell’istruzione. Non lo risolvono nemmeno le nuove tecnologie se sono gestite, impartite, usate con parametri quantitativi. Il concetto stesso di “produzione”, “produttività”, termini chiaramente economici sono inadeguati e assolutamente fuorvianti rispetto al problema della “qualità” del sistema formativo. Il governo riduce risorse, aumenta carichi di lavoro per gli insegnanti, trascura l’incidenza degli “ambienti” di apprendimento sulla qualità dello stesso. La scuola viene considerata una spesa alla stregua degli altri settori, un numero scritto sullo registro del bilancio. Non sanno, poverini, che non si tratta di tutto ciò. La ragioneria non è il miglior parametro per considerare e valutare la scuola. Tutt’al più può misurare numeri, oggetti, cose, quantità che non c’entrano niente con la “qualità” dell’insegnamento e dell’apprendimento.

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