Antonio
Tombolini vive nel business dell’editoria e ha appena sollevato domande
interessanti sul futuro sostenibile delle attività digitali. Proviamo a
rispondere, ma prima osserviamo come si è evoluta la forma di pagamento dei
consumatori.
Da tanti secoli
abbiamo superato i limiti del baratto e paghiamo i beni con il denaro. Il prezzo è un
segnale, almeno così ci dicono i libri di economia, che informa il pubblico
sull’allocazione dei beni sul mercato. Tali informazioni possono indicare la
qualità, la scarsità, il posizionamento comparato, lo status symbol e
tanto altro.
Il prezzo di 99
centesimi è però troppo alto per un ebook di nessuna qualità; così come è
troppo basso per chi ha speso tempo per studiare, produrre, curare (il “packaging”)
e distribuire l’opera che si deve confrontare, e spesso confondere, con tutti
gli altri.
Pagare sembra una compensazione per giustizia morale nei confronti
dell’autore più che un’azione di mercato, che ora infatti fallisce. Se tutto questo è confermato, vuol dire che l’incentivo a
pagare è cambiato, e ci saranno enormi conseguenze.
Nel Novecento con
la nascita dell’industria dei media, e in particolare con la televisione, paghiamo
anche con il tempo della nostra attenzione, che viene rivenduto alle
agenzie pubblicitarie.
Negli ultimi
decenni si è aperta l’era dell’informazione, dove Internet è la regina, nella
quale oltre al denaro e al tempo condividiamo informazioni che
riguardano i nostri interessi. Vere miniere d’oro i cosiddetti Big Data,
almeno per coloro che sanno utilizzarli.
L’era digitale,
che si sta stratificando sopra l’era materiale, ora la governa. Stratificati
nel senso che c’è qualcuno ben connesso con gli altri e con gli oggetti che
determineranno rivoluzioni sociali ed economiche. (Alcuni, che per mancanza di
accesso o per ritrosia culturale restano nell’era materiale, chiamano “crisi”
questi momenti di digital divide.) In altre parole i vantaggi sono esponenziali,
vediamoli espressi in due modelli più concreti:
– a fiducia
condivisa
io, cliente, ho
fiducia in quello che tu, altro cliente, commenti dopo averlo comprato.
– a valore
condiviso
io, cliente, acquistando
un bene di rete, da te usato, ne aumento il valore, sia mio che tuo. Es. l’informazione.
In pratica abbiamo
introdotto nella catena del valore la Rete, quindi alla fine il servizio prodotto
conterrà più informazioni; da una forma intensiva (pochi contatti ma molto
intensi) a una forma estensiva (tante lasche interazioni). Sarà l’attività in
rete delle persone a dare valore al servizio offerto e differenziarne il prezzo.
Torniamo ai
basics: la globalizzazione e le innovazioni tecnologiche abbassano i costi di
transazione, produzione e distribuzione.
Allora qual è la
missione dell’azienda digitale?
Offrire
contenuti di qualità.
Dove può aggiungere
il suo valore?
Nella comunità dove favorisce la partecipazione.
Il fine è sempre quello di
sostenersi (e innovare*) con tutto il mix che i consumatori sono disposti a
dare: denaro, tempo e –last but not least– informazioni.
Twitter: @massimochi
(*) Esiste un business model specifico che posso inviare su richiesta.