La globalizzazione dell’Information Technology nelle imprese è un fatto ineluttabile. Il costo dell'hardware è quasi uguale dappertutto e si riduce con il cloud computing. Lo stesso dicasi per il software con l’open source. E con Kickstarter si sta democratizzando anche l’investimento iniziale.
Queste sono variabili indipendenti dal luogo: valgono per tutti in tutto il mondo.
Eppure restano tante differenze tra le imprese e soprattutto tra le crescite dei Paesi.
Come spiegarle?
Una volta azzerate le suddette variabili indipendenti, restano le variabili dipendenti, ossia l’ambiente nel quale si opera e il capitale umano.
Ambiente
Per fare impresa è necessario contribuire alla gestione dello Stato e allo stato sociale (istruzione, pensioni e sanità, per esempio). Cioè si paga la burocrazia, direttamente con le tasse, e si usano le infrastrutture. Purtroppo i governi sono sempre più lenti ad adattarsi alle nuove tecnologie, anche perché subiscono la pressione dei monopoli pubblici e privati.
Con un mercato mondiale popolato da imprese che si specializzano in poco tempo, e che s’impongono nel mercato grazie all’effetto rete, un problema di inefficienza delle infrastrutture limita queste opportunità per gli imprenditori locali. A pagina 98 della corposa ricerca ITU, siamo al 57° posto al mondo considerando la percentuale di cittadini che usano Internet.
Esempio: poteva nascere in Italia una Youtube con banda così stretta e costi di connessione così elevati?
Queste appena citate sono le variabili dipendenti a carico di chi vuol fare impresa in Italia. L’unica speranza per compensare questo deficit italiano è il capitale umano.
Capitale umano
Che si può sintetizzare in: onestà, istruzione, laboriosità e creatività. Sono elementi virtuosi di una spirale che può sospingerci verso l’alto. Ma sono da prendere tutti insieme perché tecnologia e formazione vanno in sincrono, altrimenti è uno sforzo inutile.
Quello che chiamiamo il “ritorno economico della formazione” tende a diventare “on-or-off”: o crescita oppure più disuguaglianze tra chi non conosce la macchina (o è solo al suo servizio) e colui che la guida. Il digital divide è un fatto culturale, per questo l’applicazione della tanto agognata Agenda Digitale è così auspicabile, per fortuna i componenti (Luca De Biase, Francesco Sacco e altri) non si concentrano sulla tecnologia, ma sulla cultura per l’appunto.
L’accelerazione della tecnologia e i costi calanti (e uguali per tutti) creano potenzialmente una forte divisione: tra chi coglie prima i vantaggi rispetto agli altri.
Senza essere troppo tecno-centrici, riflettiamo insieme se la classe media stia scomparendo anche per queste ragioni.
Come abbiamo visto, non è una questione di possesso della tecnologia (ce l'hanno quasi tutti) ma molto dipende dall'uso che se ne fa. E l'uso è un fatto culturale, pertanto il rapporto tra ambiente e capitale umano determinerà se vogliamo restare plebei analogici o diventare patrizi digitali.
Twitter: @massimochi