“Prendendo la
parola in questo consesso mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale
cortesia, è contro i lavoratori”. Parafrasando De
Gasperi alla Conferenza di Pace nel 1946, questo è ciò che oggi potrebbe
affermare un lavoratore.
L’automazione, la
competitività, la produttività, il costo del lavoro e della formazione, insomma
tutto sta rimpiazzando i lavoratori, anche chi ha un’istruzione elevata. Nel frattempo
gli economisti pensano solo alla finanza e i politici combattono tra il
debito e il fisco.
La disoccupazione raggiunge
limiti insopportabili se:
-
non aumenta il “nuovo” venduto
-
non si creano “nuovi” bisogni
-
non si creano “nuovi” lavori (difficilmente rimpiazzabili nel breve dalle macchine).
Le tecnologie
avanzano a ritmi esponenziali e sono anche convergenti: tutte si miniaturizzano
come la stampa in 3D, le nanotecnologie, i robot, e l’intelligenza artificiale
in tutte le sue declinazioni. La
miniaturizzazione ha un impatto negativo enorme (ma ancora piuttosto
incompreso) sull’occupazione. Solo i robot possono produrre e assemblare i
componenti di tv, smartphone e di ogni altro oggetto elettronico.
L’automazione è
inevitabile, è un’attività one-shot, cioè una volta realizzata la macchina
replicherà le operazioni n volte senza intervento umano. Pertanto
dobbiamo investire in settori a più alta intensità di lavoro, come la
programmazione del software. Ma anch’essa
elimina posti di lavoro, pensiamo alle casse dei supermercati, delle autostrade
etc. È un processo che di certo proseguirà perché si rende più efficiente il
servizio ai clienti.
Ci rimane
l’ideazione, il disegno, ma in termini numerici la produzione dei beni e dei
servizi digitali finora non ha compensato la perdita dell’occupazione
industriale che abbiamo ereditato dal Novecento. Dobbiamo cercare
di compensare la sostituzione dei lavoratori che fuoriescono dalle grandi
industrie con una modalità di riconversione industriale adatta a questo tempo
digitale.
Tanti di noi hanno
avuto uno o pochi datori di lavoro per tutta la vita.
Le cose ora
cambiano e i nostri figli si devono abituare al nuovo modello: la vita media si
allunga, la vita delle imprese si accorcia (vedi immagine in alto) quindi significa che devono
sempre più spesso cambiare specializzazione e cercarsi tanti datori
di lavoro nella loro vita. Oppure, se faranno gli imprenditori, devono essere
capaci di scegliere i lavoratori e cambiare molto spesso linea di business e
direzione.
La soluzione consiste
nell’imparare l’atteggiamento mentale. Oggi ci sono
grandi occasioni da cogliere, basta agire nel momento giusto, con la
professionalità appropriata e con la ricompensa riconosciuta dal mercato.
C’è un’ultima
condizione, il luogo, speriamo sia l’Italia. Perché anche da
qui possiamo avere la disponibilità di risorse elaborative a basso costo e
informazioni specialistiche sconfinate in rete, per consentire ai più bravi,
anche in tenera età, di “connettere i punti”, lavorare per conto proprio e
crearsi un lavoro. Potrebbe essere la
speranza di molti.
E noi un popolo di
makers (purtroppo sopraffatti dagli opinion makers) e di artisti
lo siamo sempre stati. Nel 1946 a Parigi
uscivamo perdenti da una guerra, questa contro la disoccupazione non possiamo
perderla. Per questo
dobbiamo fare una rivoluzione digitale in questo Paese, prima di perdere l’aggettivo.
Twitter:
@massimochi