La curiosità ci spinge a informarci troppo e male?

Fino a una ventina di anni fa l’informazione era piuttosto scarsa: la quantità era limitata e usciva una volta al giorno, la mattina con i giornali e la sera con i tiggì. Insomma ci si abbeverava da poche e ben controllate fontane. Posta la questione in termini economici, la scarsità era nel lato dell’offerta. 

Poi abbiamo assistito ai crolli dei sistemi politici a economia pianificata, non si vede pertanto per qual motivo la stesse sorte non dovesse accadere anche ai sistemi centralizzati dell’informazione. E così la cosiddetta asimmetria è stata spazzata via, dopo aver arato il terreno politico ed economico, anche nel campo della diffusione delle informazioni, con un grande aiuto da parte della tecnologia. Infatti l’innovazione tecnologica ha aiutato la domanda, forte e latente, nell’innescare l’offerta di informazione che vediamo oggi in ogni pagina web. Ciò ha fatto saltare i rubinetti della fontana e fuoriescire acqua in grande quantità, 24 ore al giorno; una discreta qualità si trova anche gratis.

Non è però un momento perfetto: abbiamo la confusione di un sistema instabile, tipica di chi affronta problemi di sostenibilità. Oggi siamo andati oltre: la domanda d’informazioni è enorme ma rimane la scarsità di attenzione. In altre parole prima dovevamo cercarla, poi al limite dosarla. Oggi ci travolge. 

Siamo noi che vogliamo sempre dissetarci; mantenendo la metafora possiamo dire che la curiosità non si esaurisce mai. Purtroppo abbiamo sempre un solo cervello e non possiamo bere contemporaneamente, anche se siamo attratti dai mille rivoli intorno a noi. Una delle ragioni risiede sul fatto che prima la necessità erano solo le informazioni, ora invece vogliamo anche l’intrattenimento, e poi vogliamo scambiarle, e ricavarci un valore, il personal brand. Del resto l’informazione è sempre stato uno strumento per comunicare.

Da qui il doppio tsunami: dell’offerta e della nostra voglia d’informarci.

Sintetizziamo queste posizioni ricorrendo a due esperti in questa materia: il primo è il professor Clay Shirky, che evidenzia un problema di filtro dell’informazione (filter failure); l’altro è Eli Parisier, che ne evidenzia i problemi qualitativi (filter bubble). Qui di seguito una tabella per le due posizioni, non necessariamente contrapposte.

Filter1

C’è un’asimmetria tra chi è passivo e vuole solo leggere, e chi è attivo che scrive dappertutto. I primi leggono tendenzialmente chi la pensa come loro, mentre gli autori/giornalisti hanno l’obiettivo di allargare la base dei lettori per farsi notare e leggere da chi non rientra nei cosiddetti legami deboli.

Con l’arrivo del digitale la scarsità è finita e si è scollegata dal concetto di valore. Ora dobbiamo ritrovare un equilibrio o una nuova linea di galleggiamento, e non ci sono nuovi rubinetti, filtri o regolatori ai quali delegare la nostra attenzione. 

Twitter @massimochi

  • Roberto |

    Magari è anche opportuno dire che, come in politica od in altri settori, se non c’è chi fa informazione o se mancano fonti ovviamente si tende a coprire spazi. Che magari vengono proprio coperti da chi dell’informazione o ne fa un uso improprio o non sa nemmeno da dove cominciare. Ma i giornalisti ci sarebbero per questo e per evitare soprattutto fenomeni distorsivi. Mancando evidentemente la capacità, o meglio la volontà, di adempiere alle funzioni di uno specifico ruolo e di rispondere il più precisamente possibile alle richieste ed esigenze del mercato si creano enormi spazi che vengono colmati magari in malo modo ma vengono colmati. Poi possiamo costruirci sopra tutte le teorie possibili ed immaginabili ma la legge è sempre quella, domanda ed offerta. La domanda cresce ed è sempre più vogliosa e pretenziosa in termini qualitativi. L’offerta c’è? C’è una offerta che riesce a rispondere a queste esigenze e richieste? O siccome tanto che si legga o non si legga tanto le testate ricevono comunque fonti finanziarie per il loro sostentamento, chi se ne frega? Sarebbe bello capire e magari fare una bella ricerca sulla tendenza da parte dei lettori ad abbandonare i classici canali d’informazione a vantaggio di magari meno qualificate soluzioni. Ma con dati reali e non quelli dell’ISTAT.

  • Massimo |

    Luciano,
    concordo, meglio poco e controllata che niente. Però tra troppo filtro e nessun filtro dobbiamo trovare il modo per miscelarne la giusta quantità, per non morire di sete e per non affogarci. Grazie per il commento, ciao.

  • Luciano Lucci |

    Emblematica la metafora dell’acqua. In un mondo così veloce spesso non ci accorgiamo di avere un’overdose di imput. Credo che ci sia la possibilità di informarsi quasi su tutto ed in tempo reale, magari in modo un pò superficiale. Allora mi chiedo: non è meglio un’informazione sommaria piuttosto che nulla ? Forse è proprio questo il paradosso della possibilità di accedere ad un’informazione tanto vasta; poter cioè leggere di tutto, anche se con un’attenzione più bassa che un tempo.

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